sabato 13 aprile 2013

Il lupo perde il pelo ma non il vizio

Quante volte abbiamo usato questa espressione? Letteralmente sembrerebbe indicare che il lupo invecchia ma non perde il vizio .... ma quale vizio? certo se il vizio fosse ... quello di mangiare (o di attaccare agnellini indifesi) sembra ovvio che forse non si tratterebbe di vizio, ma di necessità (e forse bisognerebbe rispondere con un altro motto latino: mors tua, vita mea). La versione latina del motto in oggetto è più chiara: lupus mutat pilum, non mentem, che letteralmente dovrebbe essere tradotto nella frase il lupo muta il pelo, non il modo di pensare.

Dopo la lezione Magistrale del Prof Harald zur Hausen (tenuta lo scorso Venerdì 12 Aprile, all'Istituto Tumori IRCCS-Fondazione Pascale) dal titolo The role of pathogens in human cancers , il motto latino mi è tornato alla mente. Un premio Nobel (in Medicina del 2008) da 10 anni in pensione, potrebbe semplicemente fare un racconto della sua intuizione, della sua scoperta e della sua attività scientifica (450 pubblicazioni), senza impelagarsi in una nuova teoria scientifica o in una nuova querelle. Ed invece a quasi 40 anni dalla sua intuizione del ruolo del papillomavirus nelle patologie umane (ed in particolare nelle neoplasie della cervice uterina), in aperto contrasto con la comunità scientifica che sosteneva al contrario il ruolo dei virus erpetici (HSV-2), ha lanciato l'ipotesi di una patogenesi virale per le neoplasie del colon. Un cacciatore, rimarrà sempre un hunter che fiuta la sua preda.

Questa sfida, però, è ancora più complessa essendo su una patologia considerata da anni il prototipo delle neoplasie causate dall'accumulo di danni genetici, e nella cui patogenesi non era mai stato proposto il ruolo di un agente patogeno.
Quali sarebbero gli elementi che suggerirebbero il ruolo di un agente patogeno?

L'aumento di neoplasie del colon in quelle popolazioni che mangiano carne bovina non cotta. Si vedrebbe una differenza anche tra popolazioni che mangiano carne di bovini di specie diverse, con minore incidenza nelle popolazioni che si nutrono di bovini Yak tibetani (Bos grunniens) rispetto a quelle che si nutrono di bovini Euroasiatici (Bos taurus) o anche degli Zebu Indiani (Bos indicus) o degli ibridi ottenuti dall'incrocio di B. taurus con B. indicus: B. taurus africanus ( i bovini sanga a cui appartengono anche la razza ugadese Ankole-Watusi). Questi bovini di specie o di sotto-specie diverse sarebbero suscettibili a patogeni diversi, che poi trasmetterebbero all'uomo. Basti pensare alla diversa suscettibilità della specie indicus alla peste bovina che ne ha permesso la diffusione in Africa a scapito di altre sotto-specie. 

Quanto solidi sono questi dati? sono solo illazioni? cosa manca per ottenere dei dati consistenti?


Dal punto di vista epidemiologico i dati sono molto lacunosi e controversi soprattutto perchè le informazioni disponibili paragonano genericamente carni bianche (pollo, coniglio, ecc..) con carni rosse (bovine, equine, suine, ecc..) e meno che mai con specifiche sottospecie bovine.


Dal punto di vista microbiologico, potrebbero essere implicati una serie di patogeni, inclusi gli ultimi arrivati: i TTvirus.


Ma se la situazione è così complessa e così controversa, perchè imbarcarsi in una avventura così perigliosa? L'Ulisse Dantesco avrebbe risposto: Nati non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. Harald, invece, ha semplicemente ribadito che conoscere il ruolo necessario di un patogeno, anche se non sufficiente da solo ad indurre una patologia,  permette di ridurne l'esposizione ed "addirittura" di sviluppare degli idonei sistemi vaccinali.


Quanto entusiasmo e quanta sana incoscienza giovanile in un saggio di 75 anni, che stimola i più giovani a non avere paura di esporsi e di guardare con attenzione e spirito critico anche quegli argomenti in cui sembra tutto chiaro ed a nessuno verrebbe in mente di mettere in discussione quanto generalmente ritenuto corretto e sottoporlo ad una ulteriore verifica. 

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