domenica 23 giugno 2013

Il Sarcoma di Kaposi e l'epidemia di AIDS

30 anni fa a Napoli

Erano gli inizi degli anni '80, da poco era scoppiata l'epidemia di AIDS ed il nostro gruppo diretto dal Prof. Gaetano Giraldo, si trovò al centro dell'attenzione mondiale essendo uno dei pochi laboratori al mondo che studiavano il Sarcoma di Kaposi (KS). Gaetano sull'esempio di Burkitt, lo scopritore del linfoma che da lui ha preso il nome e che interessa prevalentemente il volto dei bambini, aveva identificato una neoplasia con una particolare incidenza in Uganda: il sarcoma di Kaposi. Dal 1972 oltre a cercare le tribù con maggiore incidenza di tale sarcoma, Gaetano cercava di caratterizzarne la patogenesi ed in particolare il virus che ne era la causa. E così cominciarono gli studi sugli Herpes virus oncogeni, in particolare sul ruolo del Citomegalovirus (HCMV), che per anni è stato considerato essere l'agente eziologico del KS, fino alla scoperta del virus HHV-8 nel 1994. Per questo motivo quando nel 1981 scoppiò l'epidemia di sarcoma di Kaposi (descritta da Paul Volberding in un gruppo di omosessuali da lui curati), ci trovammo al centro dell'interesse mondiale, in particolare al Congresso del Marzo 1983 di New York organizzato da Friedman- Kien, dove tutti volevano sapere (dal sottoscritto) se era plausibile pensare che l'HCMV potesse essere la causa di epidemia di KS. C'era già Bob (Gallo) che cercava di zittire il suo gruppo, incluso Max Essex, perchè loro avevano già qualche idea, ma non il virus. Sull'onda di quell'interesse dilagante sulla strana immunodeficienza, che solo negli omosessuali si associava al KS (non si riscontrava negli emofiliaci), organizammo il primo convegno al Castel dell'Ovo a Napoli dal titolo "Epidemic of Acquired Immune Deficiency Syndrome (AIDS) and Kaposi's Sarcomatenutosi il 25 Giugno 1983.

In quel convegno Françoise, la giovanissima Barré-Sinoussi da poco rientrata dall'NIH dove aveva cominciato a lavorare sulla reverse trascriptase (la trascrittasi inversa) dei retrovirus, descrisse i suoi risultati e fu energicamente attaccata da Bob, perchè secondo lui non c'erano abbastanza dati (o forse nessuno) che provasse che si trattava di un nuovo retrovirus. D'altra parte erano solo due anni che Bob aveva scoperto il primo retrovirus umano (l'HTLV-I), e dopo quasi settanta anni di ricerche infruttuose ora se ne identificavano addirittura due in così breve tempo e soprattutto in patologie tanto diverse. Fu allora che Jean Claude (Chermann), il direttore del laboratorio di retrovirologia del Pasteur e capo di Françoise offrì a Bob la possibilità di verificare i loro risultati. E così qualche mese dopo Jean-Claude  inviò i loro campioni biologici e la fotografia al Microscopio elettronico del virus da loro identificato.

E quello fu l'inizio della saga dei successivi 20 anni tra NIH e Pasteur. Il gruppo di Bob isolò il virus dal materiale inviatogli da Jean-Claude ed addirittura pubblicò come foto del loro isolamento quella al Microscopio elettronico inviatagli dal Pasteur. Così sebbene avessero di fatto coltivato il virus e permesso la sua caratterizzazione. il gruppo dell'NIH sembrava non aver saputo isolare il virus ..... ed il premio Nobel 2008 è andato alla sola Françoise ed a Luc (Montagnier), che sebbene direttore dell'Unità di Virologia Oncologica non era stato direttamente coinvolto negli studi sull'HIV. A questo seguirono varie controversie sia per l'esclusione di Jean-Claude  che quella di Bob.

In questi 30 anni si sono fatti dei passi scientifici giganteschi sull'HIV, ed in generale sui lentivirus, che nel frattempo sono stati usati anche come vettori virali in terapie genetiche. Il risultato scientifico più rilevante è stata la possibilità di contenere l'infezione da HIV che sebbene non sia stata debellata con i trattamenti antiretrovirali (nemmeeno con l'HAART) nè sia stato ancora identificato un efficace vaccino preventivo anti-HIV,  è diventata di fatto una patologia cronica con cui si può convivere per varie decadi. Un risultato incredibile in soli trenta anni, considerando l'aggressività della patologia al suo esordio, la totale novità del virus e  la totale mancanza di conoscenze della comunità scientifica. L'auspicio è che a breve si possa identificare anche un efficace vaccino preventivo con cui eradicare il virus.

martedì 11 giugno 2013

Tumori Epatici: Speranze in un virus. Pascale Capofila


A pagina 30 Ettore Mautone riporta una intervista a Francesco Izzo di ritorno dall'ASCO di Chicago.

Risultati eccellenti del JX-594 (Pexa-Vec), che è un clone attenuato del vivirus vaccinico, ritornato in uso come virus oncolitico, soprattutto per l'epatocarcinoma http://www.nature.com/nm/journal/v19/n3/full/nm.3089.html

Di fatto il Pexa-Vec è virus vaccinico modificato della Jennerex,  che è:
  • TK-- (è stata rimossa la timidilato kinasi virale), per cui replica prevalentemente nelle cellule neoplastiche che hanno un alto livello di timidilato kinasi con una Km anomala anche per analoghi della timidina;
  • GM-CSF+ (è stato introdotto il gene del fattore di crescita per granulociti/macrofagi), per cui si aumenta la risposta immunologica

Il meccanismo d'azione è schematizzato in una recente review su Pharmaceutical Patent Analyst http://www.future-science.com/doi/abs/10.4155/ppa.12.65  il cui PDF é raggiungibile da questo link. .



   


A pagina 30 del fascicolo del Denaro dell' 11 Giugno 2013, Ettore Mautone riporta una intervista al Dr Francesco Izzo sul Convegno ASCO tenutosi a Chicago. 
            

venerdì 7 giugno 2013

La Vaccinazione contro il Vaiolo a Napoli

La storia della vaccinazione anti vaiolosa a Napoli ha qualcosa di incredibile. Se da un lato il gruppo di Galbiati ha sviluppato primo nel mondo una vaccinazione animale corretta che assicurava una efficiente vaccinazione, sicura e priva di ulteriori infezioni umane (in particolare prive della Spirocheta pallida - Treponema pallidum, agente della sifilide), contemporaneamente il Comitato delle Vaccinazioni continuava ad usare la vaccinazione braccio-a-braccio, con il trasferimento del materiale "purulento" da soggetti precedentemente vaccinati a quelli da vaccinare. In particolare a Napoli era valso l'uso di usare principalmente come fornitore di vaccino bambini del brefotrofio dell'Annunziata. In questi bambini, però, c'era una frequenza di malattie infettive (particolarmente la sifilide) circa 10 volte maggiore di quella della popolazione generale, per cui il rischio che il vaccino prelevato fosse contaminato da altri agenti infettivi (incluso il virus dell'epatite) era molto alto.

Perchè Galbiati, primario della Ginecologia dell'Ospedale degli Incurabili, aveva cominciato la retrovaccinazione e la vaccinazione animale? La difficoltà di reperire e conservare correttamente le croste delle pustole del vaiolo bovino rappresentavano un grosso limite alla vaccinazione di intere popolazioni, così già Jenner era dovuto ricorrere al trasferimento da "braccio-a braccio", da bambino vaccinato a bambini da vaccinare, del materiale di origine bovino. Il 14 Maggio 1801 la vaccinazione contro il vaiolo umano, con il vaiolo bovino vaccinico, inizia nel Regno delle due Sicilie a Palermo. Il Dr Jos H. Marshall, con il collega Walker, ha avuto il compito di avviare la vaccinazione a Malta ed a Gibilterra e decide di fare altrettanto in Egitto ed in Sicilia (1). Nel racconto del Calcagni c’è la dettagliata descrizione della procedura per la vaccinazione, il numero dei vaccinati, la reazione locale e le pustole. Inoltre a pagina 30 c’è la descrizione del numero dei bambini vaccinati usati per propagare la vaccinazione (o forse più correttamente come riporta il Calcagni per propagare la malattia del vaiolo bovino), dato che localmente la maggior parte delle infezioni erano trasferite da braccio-a- braccio (1). Per evitare la possibilità del trasferimento di altre malattie intercorrenti umane (in particolare la sifilide) si cerca di tornare al vaiolo bovino. Luigi Sacco a Milano lo fa identificando mucche con lesioni pustolose simili a quelle descritte da Jenner, che diventano la fonte del suo materiale vaccinale (1, pag 16) con cui vaccina direttamente i pazienti senza passaggi inter-umani; Galbiati a Napoli, non reperendo mucche con la patologia spontanea introduce la retrovaccinazione . Nel 1803 (210 anni fa) Galbiati dimostra che è possibile trasferire il vaiolo bovino dai soggetti umani alle mucche e che il materiale linfatico prelevato a breve dalle mucche era efficace nell’infettare altri soggetti umani (2). Galbiati mette a punto la metodologia per produrre il vaccino e nel 1810 descrive accuratamente le tre principali ragioni per preferire la vaccinaziona animale rispetto a quella braccio-a-braccio:
la possibilità di aumentare a piacimento la produzione del vaccino, il recupero della patogenicità del virus del vaiolo bovino che è persa nel corso del trasferimento umano, e soprattutto la rimozione di patogeni umani intercorrenti che possono contaminare le preparazioni vacciniche (3). La retrovaccinazione, infatti, permette la rimozione di patogeni umani, che non replicano nei bovini (3). Per questi motivi Galbiati avvia a Napoli nel 1810 il suo impianto di  produzione di vaccino bovino anti-vaioloso (4), che verrà divulgato in un contesto internazionale solo nel 1864 durante il Congrès Medical de Lyon (5,6) e diventerà la procedura mondiale standard per la preparazione vaccinale e quella di partenza per il vaccino Dryvax prodotto dalla Wyeth fino agli anni ‘70, quando la vaccinazione anti-vaiolosa fu sospesa nel mondo essendo stato debellato il vaiolo umano.

La produzione di vaiolo bovino fu continuata dagli allievi del Galbiati: il Dr Ferdinando Palasciano e Giuseppe Negri, che avviarono altri siti di produzione a Parigi ed a Lione (4). Tuttavia la vaccinazione animale non fu mai ufficialmente accettata dalla comunità scientifica napoletana, anzi iniziò una forte diatriba con i Medici del Comitato Vaccinale, istituito e regolato da una ordinanza reale (7), che nel 1810 cercarono di far emanare una legge che proibisse la vaccinazione con la linfa vaccinica e poi fondarono la rivista “La Biblioteca Vaccinica” per discreditare l’impianto del Galbiati (4). Tuttavia la vaccinazione animale era preferita dai nobili e dalla famiglia reale, oltre che dai più illustri medici del tempo (incluso Cotugno, Villari e Sementini).  Finalmente nel 1849 Giuseppe Negri, che era subentrato al Galbiati al suo decesso (1844),  ebbe finalmente dalla famiglia reale delle mucche spagnole per l’inoculazione mensile del vaiolo bovino e la continua produzione di vaccino, che soddisfatte le necessità della corte poteva essere distribuito anche alla popolazione generale. Dopo l’unificazione del Regno d’Italia nel 1861, Negri continuò a produrre il vaccino animale presso il suo impianto a sue spese.

Il Comitato Vaccinale durante la sua attività ha sempre preferito la vaccinazione braccio-a-braccio, sebbene ormai in Europa ci fossero varie osservazioni sul rischio di infezioni intercorrenti quali sifilide, epatite e tubercolosi  (9,10). Il rischio maggiore a Napoli, era inoltre costituito dal prevalente uso di bambini del brefotrofio “La Real Casa dell’Annunziata", che costruito nel 1330 divenne ufficialmente un brefotrofio nel 1650 dove i bambini “esposti” erano offerti alla Madonna dell’Annunziata per la sua divina protezione.  I bambini erano vaccinati nelle ore successive al loro arrivo, usando come produttori di vaccino i bambini più sani tra i vaccinati, sia per le procedure braccio-a-braccio che per l’estrazione del vaccino linfatico. Di fatto i bambini del brefotrofio costituivano il ”deposito” del vaiolo bovino “umanizzato” dell’intera provincia, sia per le istituzioni pubbliche che per i militari (10,11). Sfortunatamente, in quegli anni, la sifilide (come altre malattie
Tabella 1: Cause di Morte negli Esposti e nei figli Legittimi 
infettive) avevano una incidenza 10 volte maggiore nei bambini “esposti” rispetto ai bambini legittimi della popolazione generale [Tabella 1] suggerendo che il rischio di trasmissione di malattie infettive era molto alto e giustificando l’identificazione nosologica della “sifilide vaccinica”: la sifilide trasmessa dalla vaccinazione anti-vaiolosa (11, pag 175). Solo nel 1893 il vaccino con linfa “umana” fu sostituito per decreto da quello costituito dalla linfa “bovina” del Galbiati (11, pag 175).  

Fu così che, come spesso avviene nella storia umana, per una peculiare combinazione di eventi, la città che aveva sviluppato il vaccino più efficace e sicuro con linfa bovina, divenne la città con il maggior rischio di trasmissione di malattie infettive. Chissà cosa sarebbe invece avvenuto se il Galbiati fosse stato ascoltato: forse la Biomerieux avrebbe la sede a Napoli, invece che a Lione, e forse avremmo avuto un Pasteur nostrano. Ma la storia non è fatta di se. La realtà è che mentre altri personaggi di questa storia sono diventati illustri ed il loro nome è stato inciso a futura memoria su strade, Istituzioni Publiche e Strutture Sanitarie, Galbiati è di fatto uno sconosciuto. L’unico ricordo un libretto sgualcito (3) conservato presso l’Università di Yale, molto probabilmente conservato solo per la sua pubblicazione in francese da parte del Dr Chambon nel 1906 (6). Lo Chambon è l’unico, in tutta questa vicenda, che sebbene non avesse mai conosciuto il Galbiati, abbia sentito la necessità di attribuirgli il giusto merito e la giusta paternità della retrovaccinazione. Una metodica a dir poco rivoluzionaria in un periodo storico in cui gli altri medici portavano le croste in tasca o cercavano mucche con pustole simili a quelle di Jenner (che ovviamente non potevano identificare con metodi microbiologici e che verosimilmente erano dovute anche ad altre patologie).

Forse potrebbe essere giunto il momento che Gennaro Galbiati sia consegnato alla storia con gli onori che merita e che il suo nome sia associato al vaccino bovino anti-vaioloso, che replica male non solo nell’uomo, ma anche nelle mucche: il virus del vaccino è infatti diverso dal virus del vaiolo bovino e quasi certamente è il virus del vaiolo equino. Ma questa è una altra storia.
  1. Calcagni F A letter on the inoculation of the vaccina, practised in Sicily : addressed to  her excellency Madam D. Stefania Statella. Translated by Cutbush E, (1772-1843),  Published by B. and T. Kite, Printed by Fry and Kammerer, Philadelphia (1807), [webcite];
  2. Galbiati G. Lettera apologetica sulla vaccina in cui si esaminano le opposizioni di ogni genere fatte alla vaccinazione in Napoli: al signor Michele Troja Printed by De Turris, Napoli (1803) [webcite];
  3. Galbiati G. Memoria sulla Inoculazione Vaccinica. Printed in Napoli (1810); [webcite];
  4. Annali universali di medicina - Volume 207, Edizioni 619-621- Pag 553 (1869) [webcite]
  5. Congrès Medical de Lyon. Compterendu des travaux et des discussions. Gazette Med Lyon 19: 449–471 (1864);
  6. Galbiati G, Mémoire sur l'innoculation vaccinale: avec l'humeur recueillie immédiatement de la vache précédemment inoculée: Translated by Bonneau A (1836–1904), Introduced by Chambon E., Printed by Rueff; Paris (1906). [webcite];
  7. Collezione delle Leggi e de’ decreti Reali del Regno delle due Sicilie. Anno 1831: Semestre I (da gennajo a tutto giugno). Printed by Stamperia Reale, Napoli (1831) [webcite];
  8. Tucker JB. Scourge: the once and future threat of smallpox. Grove/Atlantic Inc., New York (2001) [webcite];
  9. Brown E. The Case for vaccination. Baillière, Tindall & Cox. pp. 8, 21 (1902), [webcite];
  10. Griffini R. Relazione generale per l'anno 1881. Agnelli, Milano p. 35 (1882);
  11. Gorni MG, Pellegrini L. Un problema di storia sociale. L’infanzia abbandonata in Italia nel secolo XIX La Nuova Italia, Firenze, p. 175 (1974) [webcite - fulldocument];