venerdì 25 aprile 2014

Trentesimo Anniversario dalla comunicazione della scoperta del virus dell'HIV

Intervista a Robert C. Gallo, MD, Direttore dell’Istituto di Virologia Umana (Institute of Human Virology-IHV) della Facoltà di Medicina dell’Università del Maryland, Baltimora-USA e Direttore Scientifico del Network Globale di Virologia (Global Virus Network-GVN)


Prima dell’AIDS lei ha identificato e studiato il primo retrovius umano, il solo virus finora conosciuto come causa di leucemia. Quale ricerca trova più difficile ed interessante quella sul cancro o quella sull’AIDS?
Le due ricerche sono simili. La ricerca oncologica, però, è più complicata perché include molte patologie differenti. Nella ricerca sull’AIDS, si ci concentra su una singola causa eziologica – il virus HIV- per cui c’è la possibilità di condurre studi completi sui vari aspetti. In oncologia, invece, ciascuna patologia neoplastica deve essere analizzata individualmente come una malattia diversa in cui si cercano degli aspetti comuni ad altre patologie neoplastica, che solo di recente stiamo cominciando a conoscere. Per questo motivo i due tipi di studi rappresentano due sfide scientifiche diverse. Inoltre vorrei precisare che noi lavoriamo anche in oncologia, in particolare siamo molto focalizzati sulle patologie oncologiche che presentano una notevole incidenza nei soggetti che sono infetti dal virus dell’HIV.

Quando riflette sui 30 anni trascorsi dalla scoperta dell’AIDS le tornano alla mente più frequentemente i moment difficili o quelli esaltanti delle scoperte?
Certamente pochi periodi della mia vita sono stati così esaltanti e difficili allo stesso tempo. Il primo è avvenuto prima dell’AIDS quando cercavamo di dimostrare che anche gli uomini possono essere infettati da retrovirus. E’ stato necessario circa un decennio per poter dimostrare la presenza dell’HTLV-1 (il virus umano linfotropico delle cellule T) che causa una leucemia a cellule T (ATL) e meno frequentemente una patologia neurologica: mielopatia o paraparesi spatica tropicale (HAM/TSP). L’HTLV-1 è prevalente soprattutto in America Latina ed in Giappone, più che nei Paesi Occidentali. Ma il provare l’esistenza dei retrovirus umani (prima della scoperta dell’HTLV-1 e HTLV-2) è stata lunga,  difficile ed in alcuni periodi frustrante.
Per l’HIV, le difficoltà e la frustrazione cominciarono nel 1982 e nei primi mesi del 1983 per dimostrare che il retrovirus ora conosciuto come HIV fosse la causa dell’AIDS. I primi dati preliminari furono ottenuti nel 1982 ed ulteriori evidenze furono acquisite nel 1983, ma non c’erano i dati di certezza che il nuovo retrovirus fosse la causa dell’AIDS. Questo risultato richiese molti studi e la messa a punto di nuove tecnologie, sviluppate nel nostro laboratorio, con cui acquisire sufficienti informazioni per convincere il mondo intero che mostrava una notevole reticenza ad accettare tale possibilità. Le scoperte scientifiche non sono facilmente accettate se non sono validate da sufficienti prove scientifiche e soprattutto confermate da altri laboratori. A tale proposito, quando sviluppammo il test diagnostico sierologico noi eravamo ben consci che l’indagine sierologica avrebbe facilitato l’associazione del virus HIV con l’AIDS, poiché era una tecnica facile da eseguire in qualsiasi laboratorio clinico del mondo. Tuttavia l’associazione tra infezione da HIV e malattia di AIDS non avvenne in tempi brevi. L’associazione fu verificata nel corso di un anno e mezzo, con il graduale accumulo dell’identificazione del virus dell’HIV negli ammalati di AIDS.

Ci sono stati dei momenti nel corso dei suoi studi sull’AIDS  quando ha pensato “abbiamo risolto il problema?”
Certamente c’è stato un momento chiave nel nostro lavoro. Questo fu l’autunno del 1983 quando noi scoprimmo come isolare e coltivare in modo continuo e permanente l’HIV in colture cellulari. Questa scoperta ci permise in brevissimo tempo di produrre larghe quantità del virus con cui mettere a punto un test diagnostico sierologico. Inoltre l’avere a disposizione grandi quantità del virus ne permise la sua caratterizzazione genetica e la identificazione delle sue proteine strutturali e funzionali.

Come si è sentito da ricercatore catapultato nel mondo finanziario e politico?
Come per molti giovani medici, la mia vita è stata dedicate allo studio. Ho avuto poche attività non correlate allo studio. Sono andato all’Università, alla Facoltà di Medicina, e poi mi sono dedicato all’ematologia oncologica nel periodo della specializzazione. Dopo questo lungo periodo di formazione sono andato all’Istituto Nazionale dei Tumori (National Cancer Institute – NCI, Bethesda, USA) dove alla componente clinica ho associato la ricerca sperimentale, a cui poi mi sono dedicato a tempo pieno. La mia esperienza di vita pratica era molto modesta. Ero stato fortunato che mio padre si fosse preso cura degli assilli quotidiani e che non avessi dovuto preoccuparmi di nulla. Poi improvvisamente cominci a studiare una malattia, in cui tu incontri i pazienti – quella era una novità a cui non ero preparato. Secondo, incontri attivisti, che accusano medici e politici di fare poco per questa malattia e per fermarne la diffusione. Terzo, incontri i politici. Quarto, incontri persone famose. Quinto, ti vengono chieste le tue opinioni su cose di cui non hai alcuna conoscenza. Non sei un esperto di tutto, anzi la tua conoscenza scientifica è limitata a pochi argomenti, ma al contrario ti fanno domande su argomenti che tu ignori. Inoltre tu sei proiettato nel mondo legale su aspetti legati ai brevetti. Come si potrà immaginare il tutto mi incuteva un po’ di timori.

Pensa che ci sia soddisfazione ed autocompiacimento sui risultati ottenuti sull’HIV?
Sì, c’è molto autocompiacimento oggi – è ovvio, ed è comprensibile perché abbiamo una terapia molto efficace. Inoltre le iniziative di case farmaceutiche di Brasile Cina ed India, di introdurre farmaci generici, hanno permesso di introdurre farmaci a basso costo in tutti i Paesi, rendendo possibile il trattamento antiretrovirale anche nei paesi in via di sviluppo.
Dopo aver espresso la nostra soddisfazione sui risultati ottenuti, però bisogna ribadire che l’infezione da HIV e l’AIDS non si possono curare. I pazienti vivono meglio e più a lungo, ma hanno ancora il virus nel loro organismo e la loro aspettativa di vita è ancora un pò più corta dei soggetti non infetti, hanno un maggiore rischio di patologie oncologiche e cardiovascolari. Per cui il problema non è ancora del tutto debellato anche per i pazienti che sono sottoposti ad una terapia ottimale. Poi non bisogna dimenticare che molti pazienti non ricevono cure adeguate. Anche negli USA viene riportato che solo il 20% segue accuratamente lo schema terapeutico più idoneo.

Perché I giovani debbono temere l’HIV ancora oggi?
Ovviamente I farmaci antiretrovirali non risolvono del tutto il problema dell’infezione da HIV, ma ne migliorano la vita trasformando una infezione acuta in una infezione cronica. Il virus non è stato debellato e noi siamo ancora a rischio di infezione. Se ti infetti devi assumere farmaci anti-retrovirali per il resto della tua vita. A chi piace questa realtà? Alcuni farmaci hanno effetti collaterali, anche se non seri. Inoltre, come ho già ricordato, c’è una incidenza maggiore di patologie neoplastiche e cardiovascolari, ed una aspettativa di vita più breve. Per tutti questi aspetti si dovrebbe evitare l’infezione da HIV e si dovrebbe prevenirla.

L’AIDS ha cambiato l’attitudine generale verso I problemi delle minoranze?
Sì, credo che ci sia stato un cambiamento di attitudine. Penso che una delle conseguenze positive della terribile storia dell’AIDS è la maggiore comprensione delle differenze personali in ambito sessuale. C’è anche una maggiore comprensione delle differenze tra le popolazioni Settentrionali, Meridionali, Occidentali ed Orientali del globo, ed una maggiore cooperazione. Inoltre si stà ponendo più attenzione ai diritti delle donne.

Lei crede in una terapia “funzionale”, ma non in una cura virologica. Quali sono le differenze tra le due?
Non credo che ci sia alcuna promettente strategia per una cura virologica totale. Eccetto, in teoria, con alcune terapie geniche, che però è una strategia molto improbabile su scala mondiale – probabilmente potrebbero essere usata per alcune persone selezionate, ma anche in quel caso non sappiamo se siano de tutto sicure. Per tale motivo non sperpererei finanziamenti in quella direzione. E’ una strategia difficile perché ci sono cellule che sono infettate in modo latente, difficili da trovare, che vivono per lunghi periodi e che periodicamente rilasciano il virus. Sembra che indipendentemente dall’intensità del trattamento, quelle cellule rimangono nell’organismo e saranno sempre lì. Non credo che sarà possibile eliminarle tutte. Né penso che sia necessario.
Cura funzionale, invece, significa che una persona infetta da HIV potrebbe mantenere il virus soppresso senza dover ulteriormente assumere anti-retrovirali. Penso che questo risultato sia possibile e che verosimilmente sarà ottenuto nei prossimi 5-10 anni.

La comunità scientifica ha più volte sostenuto che la cura dell’AIDS avverrà per il 2020. Pensa che sia un obiettivo raggiungibile su sala globale?
Sì penso che sia raggiungibile se stiamo parlando di una terapia funzionale. Se invece si sta parlando di una cura virologica penso che sia un obiettivo non realistico. Se un ricercatore afferma di credere in una cura virologica completa per il 2020, io penso che tale ricercatore non sa di cosa stia parlando.

Quali sono stati I tuoi contributi scientifici rispetto a quelli del gruppo francese? Cosa pensa della decisione del comitato del Nobel 2008?
Noi abbiamo dato l’avvio all’intero settore della retrovirologia umana con la scoperta del primo retrovirus umano, l’HTLV-1, e del secondo, l’HTLV-2. Noi abbiamo stabilito il nesso di causalità tra HIV e l’AIDS. L’articolo scientifico del Dr. Montagnier è stato certamente il primo  a descrivere un retrovirus diverso da quelli scoperti da noi in precedenza. L’articolo del Dr. Montagnier precede il nostro per la descrizione del virus che successivamente sarà dimostrato essere l’agente causale dell’AIDS. L’associazione dell’HIV con l’AIDS è stato fatto da noi nei primi mesi del 1984. Avevamo 48 isolati virali diversi di HIV ottenuti da 48 differenti pazienti e noi fummo in grado di dimostrare che l’HIV era la causa dell’AIDS. Inoltre sviluppammo un test diagnostico sierologico, che fornì una ulteriore conferma che l’HIV era la causa dell’AIDS. Dr Montagnier ed io abbiamo pubblicato insieme ed abbiamo avuto pochissime divergenze. Abbiamo pubblicato insieme da coautori (Montagnier e Gallo) sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, e più recentemente sulla rivista New England Journal of Medicine (Gallo e Montagnier) sulla scoperta dell’HIV come causa dell’AIDS. Il comitato del Nobel è composto da 4 o 5 signori Svedesi – è la loro decisione (non della comunità scientifica mondiale). Mi sono offeso? Sì e anche molto sorpreso della loro decisione. Ma non mi lamento – molte nazioni nel mondo mi hanno reso onore attribuendomi molte onorificenze con o senza il mio collega Dr. Montagnier. Tra i premi ricevuti – che sono più di quanto avessi mai potuto auspicarmi- c’è il premio Paul Ehrlich, la massima onorificenza scientifica tedesca, quella giapponese, il premio spagnolo Prince Asturia, il premio americano Lasker Award, che ho ricevuto due volte. Ho anche ricevuto la massima onorificenza israeliana Dan David Prize e quello canadese Gairdner Award.

Quali sono i suoi sogni da realizzare ancora?
Il mio attuale sogno in ambito organizzativo è di lasciare un eccezionale Istituto di ricerca – l’Istituto di Virologia Umana della Facoltà di Medicina , Università del Maryland – che ho contribuito a fondare. Il secondo sogno è di lasciare in eredità il Network Globale di Virologia (the Global Virus Network, GVN), che ho co-fondato, tre anni fa.

Da ricercatore il mio sogno è di acquisire una maggiore conoscenza delle cause del ruolo delle patologie infettive nella patogenesi delle neoplasie. Finora ne ho trovato qualcuna. Con I miei colleghi ho scoperto 5 virus con potenzialità oncogena. Vorrei trovare ulteriori associazioni di agenti infettivi e neoplasie e vorrei dimostrare che hanno un ruolo determinante nelle neoplasie umane. Anche per l’AIDS ho un obiettivo. Vorrei vedere una cura funzionale dell’HIV e vorrei che l’IHV vi contribuisse. Inoltre io spero che il nostro modello vaccinale possa essere importante nel fare avanzare le nostre conoscenze vaccinologiche verso il vero traguardo di un vaccino preventivo efficace contro l’HIV. Lo studio clinico di fase I basato sul nostro modello vaccinale dovrebbe prendere l’avvio entro la fine del corrente anno o nei primi mesi del prossimo anno.

Traduzione dall'intervista originale pubblicata sul blog del giornale IAC - Infectious Agents and Cancer